Cassazione Penale, Sez. 4, 05 gennaio 2023, n. 100 – Ustioni occorse al guardiano di un residence a Favignana durante una cena. Effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 13/12/2022
Fatto
1 – La Corte d’appello di Palermo ha confermato, quanto all’odierno ricorrente R.I., la sentenza del Tribunale di Trapani, con la quale questi era stato condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per il reato di cui al capo A), cioè quello di lesioni personali, colpose e gravissime ai danni del lavoratore V.L., per un infortunio avvenuto in Favignana il 3 ottobre del 2013, presso il residence “Nido del Pellegrino” facente capo alla moglie, C.E., assolta in primo grado, reato aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestate ai capi C), D) ed E), esclusa quella di cui al capo B), violazioni per le quali era stato condannato alla pena di euro tremila di ammenda.
2 – Emerge dalla decisione conforme, quanto all’odierno ricorrente, assunta in primo grado e richiamata in quella impugnata, che i fatti per i quali è processo hanno riguardato un infortunio avvenuto nel corso di una cena all’aperto organizzata dal R.I. presso un terreno di proprietà della C.E., ubicato nelle vicinanze della struttura ricettiva sopra indicata. Il V.L., dipendente di essa con la qualifica di guardiano notturno, era stato, secondo la formulazione d’accusa recepita dai giudici del doppio grado di merito, assegnato anche ad altri compiti, tra i quali il disbrigo delle incombenze relative agli eventi (cene) che venivano organizzati, anche a fruizione degli ospiti soggiornanti presso la struttura, secondo un calendario comunicato al lavoratore vittima dell’infortunio. L’evento specifico era stato la conseguenza dell’accensione del fuoco per la grigliata che avrebbe dovuto avere luogo la sera dell’infortunio, mentre il V.L. stava utilizzando una bottiglia di alcool per alimentare le fiamme e velocizzare i tempi di preparazione. I giudici del doppio grado hanno ritenuto che tale mansione facesse parte dei compiti affidati al V.L. e che, quindi, l’infortunio fosse avvenuto nello svolgimento di attività lavorativa. All’imputato si è contestato di avere adibito il V.L., in assenza della moglie e nello svolgimento di mansioni datoriali di fatto, a quella attività lavorativa, senza considerarne l’esposizione ai relativi rischi e senza formare il lavoratore, esclusa già in primo grado la violazione di cui al capo B), per totale incoerenza con il caso esaminato.
3 – La difesa del R.I. ha proposto ricorso, formulando sei motivi.
Con il primo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale, violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità o decadenza, oltre a vizio della motivazione, anche per travisamento probatorio, quanto alla posizione datoriale ritenuta in capo al R.I. Egli era titolare solo dell’attività di diving e non anche della struttura residenziale, intestata alla moglie. Il deducente ritiene inidonei gli elementi valorizzati dai giudici del merito, tra i quali le dichiarazioni generiche dello stesso imputato, essendo state di contro ignorate prove orali ritenute decisive e riportate per stralcio nel ricorso, a sostegno della tesi della estraneità alla gestione del residence.
Con il secondo, ha dedotto i vizi di cui alle lett. b) e c) dell’art. 606, cod. proc. pen., con riferimento alla quantificazione della pena che si assume immotivatamente e notevolmente discosta dal minimo edittale.
Con il terzo, ha dedotto analoghi vizi, quanto al diniego delle generiche, rilevando che l’integrale risarcimento del danno, pur tardivo ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., avrebbe dovuto essere valutato dai giudici territoriali ai diversi fini del riconoscimento delle attenuanti generiche.
Con il quarto e il quinto motivo, poi, la difesa ha dedotto analoghi vizi, oltre a vizio della motivazione, rispettivamente con riferimento al mancato riconoscimento dei benefici della non menzione e della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.
Infine, con il sesto motivo, ha dedotto analoghi vizi quanto alla mancata esclusione della parte civile INAIL, rilevando l’assenza di prova dell’intervenuto accordo transattivo tra la persona offesa e l’istituto subentrato in regresso.
4 – L’avv. Luigi Bruno Peronetti, per R.I., ha depositato memoria con motivi nuovi, con la quale ha sviluppato le argomentazioni svolte con i motivi di ricorso, insistendo nelle rassegnate conclusioni.
Diritto
1 – Il ricorso è inammissibile.
2 – La Corte palermitana ha esaminato le doglianze difensive veicolate con l’atto di appello, muovendo dalla questione inerente alla posizione di garanzia ricoperta dall’imputato. Richiamate le prove, soprattutto orali, acquisite in dibattimento, quel giudice ha ritenuto pienamente dimostrato che il R.I. fosse il gestore effettivo della struttura formalmente riconducibile alla moglie, la quale risiedeva a Monza per la maggior parte dell’anno con i figli, per esigenze scolastiche degli stessi.
La tesi difensiva, secondo la quale l’evento occasione dell’infortunio sarebbe stato null’altro che una grigliata tra amici, era stata ampiamente smentita dalle testimonianze degli ospiti e di altri soggetti presenti presso quella struttura o, comunque, a conoscenza dei fatti e la spiegazione sulla infondatezza della prospettata tesi difensiva è saldamente ancorata a tali risultanze, valutate secondo parametri conformi dai giudici dei due gradi di merito, avendo il Tribunale disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero con riferimento alla deposizione della segretaria della struttura, il cui riferito, pur superato dalle altre prove (comprese le dichiarazioni dell’imputato rese nell’immediatezza, a mente delle quali l’organizzazione dell’evento era stata sua, stante l’assenza della moglie) era stato considerato dal Tribunale come un tentativo di sostenere la tesi difensiva della riunione amicale .
Quei giudici hanno ritenuto, poi, che l’infortunio era avvenuto nel corso dell’espletamento di mansioni lavorative del V.L., al quale spettava, in occasione di questi eventi allestiti anche a beneficio degli ospiti della struttura, di predisporre il necessario per cucinare all’aperto. Le violazioni contestate si erano poste in diretto collegamento rispetto all’evento, atteso che le regole violate erano intese a prevenire incidenti del tipo di quello nel quale il V.L. aveva riportato le gravissime ustioni, dovute alle fiamme libere sprigionatesi a causa dell’impiego di una bottiglia di alcool per velocizzare le operazioni di accensione della griglia.
Quanto, poi, alla posizione dell’INAIL, nell’esaminare il primo motivo, la Corte d’appello ha ritenuto la doglianza superata dall’intervenuto accordo transattivo tra persona offesa e ente assicurativo, con rinuncia di questo alla costituzione di parte civile.
Infine, l’entità del danno cagionato (il V.L. avendo riportato ustioni al volto che avevano richiesto il trapianto della pelle), in uno con l’elevato grado di colpa ascrivibile all’imputato, hanno giustificato lo scostamento della pena di mesi sei rispetto al minimo edittale (da uno a tre anni in caso di lesioni gravissime, art. 590, comma 3, cod. pen.) e il diniego delle generiche.
3 – I motivi sono tutti manifestamente infondati.
Quanto al primo, a parte la genericità delle doglianze, deve rilevarsi che la difesa ha continuato a contestare la qualifica datoriale in capo all’imputato, facendosi scudo con la formale intestazione della struttura residenziale alla C., così dimostrando di non essersi effettivamente misurata con i motivi della decisione censurata, da leggersi peraltro in uno con quelli che sorreggono la sentenza appellata, stante la conformità delle due decisioni in punto responsabilità dell’imputato. Da essi emerge che l’istruttoria aveva dato conto della situazione in fatto, in base alla quale la gestione del “Nido del pellegrino” faceva capo per la gran parte dell’anno e in via esclusiva proprio al R.I., trattandosi di una impresa familiare all’interno della quale il ruolo gestorio dell’imputato aveva trovato conferma anche dalle dichiarazioni della clientela.
I giudici territoriali, dunque, prima di valutare gli obblighi incombenti sull’imputato e la situazione di rischio che egli era tenuto a gestire, hanno correttamente valutato la natura del rapporto esistente tra lo stesso e la vittima e la situazione fattuale sottostante (accertamento la cui necessità è stata richiamata anche in sez. 4, n. 27305 del 4/4/2017, Massetti, Rv. 270105), posto che la posizione di garanzia – che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante – deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro (sez. 4, n. 57937 del 9/10/2018, Ferrari, RV. 274774; n. 38624 del 19/6/2019, B., Rv. 277190; n. 37224 del 5/6/2019, Piccioni, Rv. 277629; n. 19558 del 14/1/2021, Mussano, Rv. 281171). Ciò che, nella specie, è emerso senza margini di dubbio dalla complessa istruttoria svoltasi in primo grado.
Quanto al travisamento probatorio, peraltro, il deducente ha omesso di considerare i ridotti margini della sua deducibilità di fronte a una doppia decisione conforme di merito: tale tipologia di vizio motivazionale, infatti, può essere dedotta solo ove il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (sez. 4 n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Rv. 258438; n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, Rv. 258432) o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (sez. 2 n. 47035 del 3/10/2013, Rv. 257499). Decisività della prova che non può essere attribuita a quelle indicate dal ricorrente, atteso che le prove orali sono state esaminate dal primo giudice attraverso una lettura complessiva dei riferiti, ”asserito travisamento sostanziandosi in null’altro che nella inammissibile sollecitazione a rivalutare, in questa sede, il significato attribuito dai giudici di merito alle prove stesse attraverso un ragionamento scevro da contraddizioni o manifeste illogicità.
Né, nella specie, può ritenersi che entrambi i giudici siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie, poiché in tal caso il travisamento deve apparire in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 4, n. 35963 del 3/12/2020, Tassoni, Rv. 280155).
Quanto, invece, al trattamento sanzionatorio, rilevata anche in questo caso l’assoluta genericità delle doglianze, deve osservarsi intanto l’apoditticità dell’assunto per il quale i giudici si sarebbero “cospicuamente” scostati dal minimo edittale, ciò che è smentito dalla stessa cornice sanzionatoria cli riferimento (per l’appunto l’art. 590, comma 3, cod. pen.). Quanto all’onere motivazionale del giudice nella individuazione della pena, si è più volte precisato, poi, che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, Del Papa, Rv. 276288; n. 3825 1 del 15/6/2016, Fignanese, Rv. 267949; sez. 4, n. 46412 del 5/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283).
Inoltre, quanto al diniego delle generiche, la motivazione si regge su due elementi, certamente previsti tra i parametri legali di cui all’art. 133, cod. pen., cioè la gravità del danno (oggettivamente ricavabile dalla semplice cescrizione delle lesioni riportate) e l’intensità della colpa e, già in primo grado, il Tribunale aveva stigmatizzato la condotta falsificatrice dell’imputato, intesa a compromettere il ristoro del lavoratore infortunato (vedi pag. 70 della sentenza appellata).
Poiché il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, De Crescenzo, Rv. 281590), deve osservarsi che, nella specie, il ricorrente sembra non aver neppure tenuto conto della specifica funzione del beneficio e dei principi consolidati in giurisprudenza, in base ai quali, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma sufficiente specificare a quali si sia inteso far riferimento (sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959).
Per quanto riguarda i benefici di legge, poi, deve rilevarsi che le relative censure, connotate anch’esse da genericità, non hanno costituito motivo di gravame, non potendosi a tal fine valorizzare la semplice enunciazione della richiesta dei benefici di legge contenuta nelle conclusioni dei motivi di appello. Cosicché, nessuna censura può muoversi alla sentenza impugnata che nulla ha motivato sul punto specifico, non essendo stato il giudice del gravame stimolato da un’ammissibile richiesta della parte (sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, R.v. 280306, in cui si è, per l’appunto, affermata l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., del ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione). Ciò in quanto deve evitarsi il rischio che, in sede di legittimità, sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla coç1nizione del giudice di appello (sez. 2, n. 29707 del 8/3/2017, Ga/di, Rv. 270316).
Ancora, è manifestamente infondato per genericità e carenza di interesse l’ultimo motivo di ricorso, avendo la Corte d’appello dato atto della rinuncia alla costituzione di parte civile da parte dell’ente assicuratore. A fronte di ciò, il ricorrente non ha spiegato quale sia il suo interesse a vedere annullata la decisione in punto mancata estromissione dell’INAIL, stante l’intervenuta esclusione in sede di appello, interesse che deve ritenersi sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l’impugnante, ancorché detta valutazione debba essere operata con riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Sez. U, n. 28911 del 28/3/2019, Massaria, Rv. 275953; sez. 3, n. 5509 del 4/10/2019, dep. 2020, Panarese, Rv. 278669).
4 – Infine, va rilevato che l’inammissibilità del ricorso non consente di valutare l’eventuale maturazione del termine di prescrizione del reato di lesioni, ma neppure quella dei reati contravvenzionali, eventualmente maturata prima della sentenza d’appello. La circostanza, infatti, non ha costituito oggetto di motivo di appello (né è stata oggetto di apposita richiesta a verbale di udienza), ma neppure del ricorso di cassazione, atteso che la stessa è stata evocata solo incidentalmente a conclusione della esposizione del secondo motivo di ricorso, all’unico fine di sostenere la censura sulla determinazione della pena.
Sul punto, pare sufficiente un rinvio al diritto vivente, per ribadire che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli art.li 129 e 609 c. 2, cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso, come avvenuto nel caso in esame (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, in cui, in motivazione, la Corte ha precisato che l’art. 129, cod. proc. pen., non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione).
5 – Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 13 dicembre 2022.
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